Questi ultimi mesi sono stati caratterizzati da grossi cambiamenti. Per tutti noi.
Ricordo il giorno in cui il mio compagno mi mostrò il video degli abitanti di Wuhan che in quarantena urlavano dai balconi. E ricordo di aver pensato che io, un tempo così lungo, chiusa in casa, non sarei riuscita ad affrontarlo. Questo pensiero nascondeva, a pensarci adesso, una sorta di boria, di superbia. La convinzione che a me una cosa simile non sarebbe successa.
Ed invece, ecco arrivare, dopo poco più di un mese, le sconcertanti e tragiche notizie dall’Italia e il lockdown in Germania e nel resto del mondo.

Evidentemente ciascun paese si è trovato a gestire una situazione senza precedenti.
Nonostante il lockdown sia stato generale, ha senza dubbio assunto connotazioni molto diverse. Connotazioni a volte bizzarre, come nella mia città , dove un signore è stato fermato dalla polizia e multato perché all’uscita dal supermercato aveva con sé solo due banane. Spesa ritenuta „non indispensabile“.
Abbiamo assistito a performances dei capi di Stato a dir poco grottesche. Dal primo ministro che invitava i cittadini a congedarsi dai più deboli e dai più anziani, al presidente che interrogato riguardo il numero alto di decessi risponde :“ Embè ? E io che ci posso fare?“.

Abbiamo ricevuto valanghe di informazioni, spesso contraddittorie. Studi su studi che ogni giorno, ci allertano su nuovi rischi e nuove soluzioni. Tantissime fake news hanno inondato i social media.
Gli scienziati stessi si sono divisi e continuano a litigare tra di loro sulla pericolosità di questo virus.
Un virus che si manifesta in modi molto diversi, imprevedibile. Che, a quanto pare, può provocare il collasso di diversi organi o presentarsi come un lieve raffreddore. Un virus che alcuni tra di noi contraggono senza produrre sintomi, rischiando però di contagiare gli altri. Il virus della polmonite interstiziale bilaterale acuta( la più brutta e più temuta tra tutte le polmoniti).
Uno scenario da film horror.
E in questo scenario come c’era da aspettarsi, la vera grande protagonista è stata la paura. La abbiamo vista nel volto del vicino di casa che ha smesso di salutarci, la abbiamo letta sui giornali e ascoltata alla radio.
Nuclei familiari( mamma, papa´, figli) che hanno smesso di avere contatti fisici e di dormire nello stesso letto. Bambini a cui veniva proibito di uscire sul balcone perché dal balcone di sopra sarebbe potuto cadere il virus. Gente che ha disinfettato le zampe dei cani provocandogli delle dolorosissime bruciature.
Sono stati creati strumenti per la diffusione di informazioni, che a mio avviso, servono solo ad alimentare la paura. Non hanno altra funzione che questa. Io ad esempio ero abbonata ad una newsletter per cui due volte al giorno, al risveglio e prima di andare a dormire venivo informata sul totale dei decessi, delle guarigioni, dei nuovi contagi, sul numero totale dei pazienti in ospedale e in terapia intensiva. Perché mai dovremmo avere bisogno di questi dati? Due volte al giorno?

Esiste uno schema di elaborazione del trauma che mi è stato illustrato tempo fa, da un mio insegnante.
Ad un evento negativo o drammatico si risponde istintivamente in primo luogo con la paura. Ad essa segue un tentativo di negazione dell´ evento stesso, come tentativo di superamento della paura stessa.
Quindi per tornare al nostro Covid-19, si diffonde un virus, prima reazione: sgomento, seconda reazione: „ No non è possibile. Non può essere vero“. In molti all’inizio della pandemia hanno reagito in questo modo, alcuni continuano ancora oggi a sostenere che il virus sia una invenzione.

La terza reazione, a mio avviso la più pericolosa, possiamo definirla „ azionismo cieco“. L’impulso di fare qualcosa, qualsiasi cosa per uscire dalla situazione, per trovare una soluzione e per eliminare l’evento negativo. In sintesi per far tornare le cose come erano, come se niente fosse accaduto. Il signore multato perché ha osato uscire di casa per comprare due banane è ad esempio una vittima di questo „ azionismo cieco“.

Lo spavento, il rifiuto e l’azionismo cieco vanno a creare una sorta di „ triangolo delle bermuda“, da cui è difficile uscire. A ogni azione riparatrice impulsiva seguirà una nuova fase di spavento, poi di nuovo il rifiuto e così via. Con l´ illusione costante di star facendo qualcosa per risolvere il problema, di stare utilizzando le proprie competenze. Mentre in realtá si rimane incastrati in un vortice che puó durare anni.

L’unico modo per uscire da questa trappola è mettere in campo un tipo specifico di competenza, che tutti abbiamo. Il consenso. Bisogna accettare l’evento. Ma non a livello intellettivo. Questo è impossibile. Perché mai dovremmo accettare che la nostra vita venga sconvolta da un virus?
No, si tratta di un consenso emotivo. Un consenso che va cercato nella perdita. Ecco simbolicamente, mi viene da dire che bisogna andare a sedersi proprio lì dove si è creato un vuoto e aspettare. Ripartire da lì. Dal dolore, dalla delusione, dalla rabbia.
In questi mesi ho avuto modo di parlare con diverse persone e di constatare che solo coloro che erano in grado di raccontarmi quello che avevano trovato in questo vuoto( molto concreto oltre che simbolico, a causa alla quarantena) sono riuscite a superare la paura. Il sostegno di una figura terapeutica di riferimento è spesso fondamentale in questo processo.
Le conseguenze di questa pandemia sono state tragiche per molti. Se lasciamo da parte i decessi, che ne costituiscono l’esito più doloroso, la verità è che ci siamo dovuti confrontare con una situazione „ al limite“. Chi ha perso il lavoro, chi è stato messo in cassa integrazione. La lontananza da amici e parenti. Penso ai bimbi a cui improvvisamente è stato proibito di avere contatti sociali. Provare rabbia o tristezza, in un momento del genere, è assolutamente normale. E anche avere paura certo.

La paura è un sentimento primario fondamentale che conosciamo dalla nascita e ci accompagnerà fino alla morte. Ci preserva da situazioni pericolose. È una allarme che suona al momento giusto e ci suggerisce fino a dove possiamo spingerci, come dobbiamo procedere. E´ fondamentale perché ci permette di valutare le circostanze. Però ha due facce, può stimolarci all’azione, al cambiamento e alla crescita o può paralizzarci, irretirci.
E se siamo paralizzati perdiamo la facoltà di giudizio e di comprensione.

Inoltre sentimenti come la delusione o la rabbia, possono rivelarsi più faticosi da sostenere rispetto alla paura. La paura, in quanto forza inibitrice che ci costringe a restare immobili può anche assumere le sembianze di una accogliente e calda culla. Ecco perché è insidiosa, può creare un ambiente molto confortevole all´ interno del quale temporeggiare è di certo più facile che agire.

Leonard Shaw, un terapeuta Gestalt americano con cui ho avuto la possibilità di studiare, definisce „little mind“ (piccola mente ) quella parte di noi che è governata dalle paure, dalle insicurezze. E sostiene che questa parte di noi preferirà sempre avere ragione e trovare conferma nelle sconfitte, piuttosto che mettersi alla ricerca di una soluzione, della felicità .

Ricordo una conversazione con una cara amica, che piombata nel vortice della paura da contagio aveva smesso di uscire. Nonostante la situazione le provocasse un profondo disagio, alla mia proposta di fare, come primo passo, una breve passeggiata da sola in bici per schiarire le idee mi rispose: „E se in bici, al semaforo, uno mi tossisce in faccia?“. Qualsiasi proposta le avessi fatto avrebbe trovato una buona ragione per confermare le sue paure e rimanere comunque a casa.

La paura dovrebbe essere una buona consigliera e non una trappola. Dovrebbe aiutarci a riconoscere il pericolo, in modo da renderci liberi di superarlo. Se ci impedisce di crescere e di trovare nuove soluzioni non ci offre più un servizio.

Ecco il mio invito è di mettere la paura al nostro servizio, di iniziare a maneggiarla, entrandoci in confidenza. Senza temporeggiare, afferriamola il prima possibile, al primo nuovo incontro. Se non sappiamo cosa farci una volta che ce l’abbiamo tra le mani una buona idea può essere quella di portarla dal nostro terapeuta o da una amico. E di parlarne. Tenere per sé le proprie paure non è mai una buona idea.
Soprattutto in questo momento di grande confusione, credo sia estremamente importante che ognuno di noi resti lucido e contribuisca alla riflessione sul futuro e su nuove possibili soluzioni.
Perché, come mostra lo schema che ho illustrato precedentemente, se tutto torna come prima, avremo fallito.

 

Fonte: Serena Noto
https://serena-noto.de/it/la-paura-e-il-covid/